Ricorso  del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici e'
legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

    Contro  la Regione Marche, in persona del presidente della giunta
regionale  pro  tempore,  per  la  declaratoria  della illegittimita'
costituzionale degli articoli 10 comma 1, 11 commi 1 e 2, 13 comma 3,
17  comma  4,  20  commi  2, 3 e 4, della legge regionale n. 2 del 25
gennaio  2005,  pubblicata  nel  B.U.R.  della  Regione Marche del 10
febbraio  2005, n. 14, come da delibera del Consiglio dei ministri in
data 24 marzo 2005.

                              F a t t o

    In  data  10  febbraio  2005  e'  stata pubblicata nel Bollettino
ufficiale della Regione Marche la legge regionale n. 2 del 25 gennaio
2005,  approvata  dal  consiglio regionale nella seduta n. 218 del 19
gennaio 2005, recante «norme regionali per l'occupazione, la tutela e
la  qualita'  del  lavoro». Con detta normazione la regione ha inteso
regolamentare  le proprie competenze legislative ed amministrative in
materia,   nel   rispetto  della  Costituzione,  dei  principi  della
legislazione  statale,  dello  statuto  regionale  e dell'ordinamento
dell'Unione   europea   (art. 1).  In  particolare,  per  quanto  qui
interessa:
        l'art. 10 pone norme relativamente all'avviamento a selezione
dei lavoratori presso le pubbliche amministrazioni;
        l'art. 11 regola le modalita' di rilascio a soggetti pubblici
e  privati dell'autorizzazione alla gestione nel territorio regionale
dei  servizi  di intermediazione, ricerca e selezione del personale e
di supporto alla ricollocazione;
        l'art. 13  determina  le  forme  di  cooperazione tra servizi
pubblici  e  operatori  accreditati in materia di «servizi al lavoro»
come individuati dall'art. 12, comma 1;
        l'art. 17  disciplina  i  profili  formativi dei contratti di
apprendistato;
        l'art. 20  contempla  le modalita' di inserimento nel mercato
del lavoro dei soggetti svantaggiati.
    Le  richiamate  disposizioni appaiono in contrasto con il dettato
costituzionale eccedendo le competenze regionali in materia, e devono
pertanto   essere   dichiarate   costituzionalmente   illegittime   e
conseguentemente  annullate  sulla base delle seguenti considerazioni
in punto di

                            D i r i t t o

    1.  -  La  potesta'  legislativa in materia di lavoro rientra, in
linea  generale, nella legislazione concorrente di cui al terzo comma
dell'art. 117  della  Costituzione («tutela e sicurezza del lavoro»),
nella  quale  allo  Stato e' riservata la determinazione dei principi
fondamentali  cui  le  regioni  devono uniformarsi. Tuttavia, secondo
l'insegnamento  di  codesto,  ecc.mo  Collegio  (si veda da ultimo la
sentenza  n. 50  del 28 gennaio 2005) specifici aspetti della materia
possono  rientrare  nella  legislazione  esclusiva  statale di cui al
secondo  comma,  laddove  riguardino,  caso  per caso, l'immigrazione
(lett.  b),  la  tutela  della concorrenza (lett. e), l'ordinamento e
l'organizzazione  dello  Stato  e  degli  enti  pubblici  (lett.  g),
l'ordinamento  civile  (lett.  l),  i  diritti civili e sociali per i
quali  e' necessaria una uniformita' su tutto il territorio nazionale
-  per  essi  lo  Stato  individua  livelli essenziali inderogabili -
(lett. m), l'istruzione (lett. n), la previdenza sociale (lett. o).
    Con  la  legge  delega  n. 30  del  14  febbraio 2003 («Delega al
Governo  in  materia  di  occupazione  e  mercato  del  lavoro») e il
successivo  d.lgs.  n. 276  del  10 settembre 2003 («Attuazione delle
deleghe  in materia di occupazione e mercato del lavoro») lo Stato ha
regolamentato  organicamente  ex  novo la materia, dando disposizioni
nei  settori  di  legislazione  esclusiva  e ponendo in particolare i
livelli  essenziali  delle prestazioni ex art. 117, comma 2, lett. m)
della  Costituzione,  nonche'  enunciando i principi fondamentali nei
campi in cui sussiste competenza concorrente con le regioni.
    Le  norme  indicate  in epigrafe, e sulle quali ci si soffermera'
qui  di  seguito,  illegittimamente incidono sulle norme cosi' poste,
eccedendo  dalla  competenza  regionale  con violazione del secondo e
terzo  comma  dell'art. 117  della  Costituzione,  e  devono pertanto
essere dichiarate costituzionalmente illegittime ed annullate.
    2. - L'art. 10, comma 1, della legge Regione Marche n. 2/2005 che
qui  si  impugna,  regolando  l'avviamento  al lavoro nelle pubbliche
amministrazioni,    dispone    testualmente    che    «le   pubbliche
amministrazioni,  come  individuate  all'art.  1, comma 2, del d.lgs.
legge  n. 65/2001,  escluse  le amministrazioni centrali e gli uffici
centrali  degli  enti  pubblici,  per  le assunzioni da effettuare ai
sensi  dell'art.  35,  comma  1,  lettera  b),  del  medesimo  d.lgs.
n. 16/2001,  formulano  richiesta  di  avviamento  a selezione di cui
all'art. 16    della   legge   28   febbraio   1987,   n. 56   (Norme
sull'organizzazione  del mercato del lavoro), al centro per l'impiego
competente  per  territorio. Per le assunzioni a tempo indeterminato,
qualora  l'ambito  territoriale del soggetto richiedente comprenda un
territorio sul quale insistono piu' centri per l'impiego della stessa
provincia   o   di   province   diverse,  la  richiesta  e'  rivolta,
rispettivamente,  alla  provincia  interessata o alla regione, per la
redazione della graduatoria unica integrata».
    Premesso che il reclutamento del personale dipendente dello Stato
e    degli    enti    pubblici    rientra    certamente   nel   campo
dell'organizzazione  degli  stessi,  la  disposizione appare invasiva
della competenza esclusiva dello Stato. La gia' richiamata lettera g)
dell'art. 117,  comma  2,  della  Costituzione,  rimette infatti alla
legislazione   esclusiva  statale  l'ordinamento  e  l'organizzazione
amministrativa  dello Stato e degli enti pubblici nazionali. La norma
impugnata,  invece, nel regolamentare l'avviamento e selezione presso
le pubbliche amministrazioni, esclude come visto dal proprio campo di
applicazione  le  sole  amministrazioni  centrali  dello  Stato e gli
uffici  centrali  degli  enti pubblici, rendendo dunque, a contrario,
applicabile  per  la  Regione  Marche la disciplina posta nella legge
agli uffici periferici statali e degli altri enti.
    Cio' determina, d'altro canto, un'ingiustificata differenza nelle
modalita' di reclutamento tra dipendenti della stessa amministrazione
o  ente  pubblico  assunti  in  altre  regioni  e si pone comunque in
contrasto  con  i  principi  fondamentali  posti  dalla  legislazione
statale introdotta con il d.lgs. n. 276/2003.
    La  norma  dovra'  pertanto  essere dichiarata costituzionalmente
illegittima ed annullata.
    3.1.  - L'art. 11, comma 1, della legge Regione Marche n. 2/2005,
in  materia di attivita' di intermediazione all'avviamento al lavoro,
prevede   che  «La  giunta  regionale,  sentite  le  provincie  e  le
associazioni  dei  datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente
piu'   rappresentative,   determina  con  proprio  provvedimento,  le
modalita'   per   il   rilascio   a   soggetti   pubblici  e  privati
dell'autorizzazione   alla  gestione  nel  territorio  regionale  dei
servizi di intermediazione, di ricerca e selezione del personale e di
supporto alla ricollocazione del personale».
    La  norma  incide  illegittimamente  nella  competenza  esclusiva
statale  di cui alla lettera m) del secondo comma dell'art. 117 della
Costituzione,  poiche'  quanto  stabilito dal legislatore statale nel
d.lgs. n. 276/2003 deve ritenersi relativo a livelli essenziali delle
prestazioni  concernenti  diritti  sociali.  Contrasta comunque con i
principi  posti  dall'art. 6  del d.lgs. n. 276/2003 - quanto meno da
ritenere principi fondamentali in materia di legislazione concorrente
-,  non  a  caso intitolato a «regimi particolari di autorizzazione»,
quale,  al  comma 6, prescrive che «l'autorizzazione allo svolgimento
delle  attivita'  di  cui  all'art.  2,  comma 1, lettere, b), c), d)
[cioe'  l'attivita'  di  intermediazione,  ricerca  e  selezione  del
personale,  supporto  alla ricollocazione professionale], puo' essere
concessa  dalle  regioni  e  dalle  province  autonome  con esclusivo
riferimento   al  proprio  territorio  e  previo  accertamento  della
sussistenza del requisiti di cui agli articoli 4 e 5, fatta eccezione
per il requisito di cui all'art. 5, comma 4, lettera b)». La potesta'
della  regione e' infatti limitata al rilascio dell'autorizzazione ai
soggetti  che operano limitatamente all'area regionale e provinciale,
mentre  la  autorizzazione  regionale non deve essere richiesta, come
dimostra  anche  il  dettato  del precedenti articoli 4 e 5, per quei
soggetti pubblici e privati che siano in possesso dell'abilitazione a
livello  nazionale.  Nella parte in cui impone a tutti i soggetti che
vogliano  operare  nel campo di richiedere l'autorizzazione regionale
la disposizione appare costituzionalmente illegittima.
    3.2.  - Parimenti illegittimo si appalesa il comma 2 dello stesso
articolo,  laddove  dispone  che  «Le  universita'  e gli istituti di
scuola secondaria di secondo grado, autorizzati ai sensi dell'art. 6,
commi  1  e  2,  del  d.lgs.  10  settembre 2003, n. 276 ..., possono
svolgere  attivita'  di  intermediazione  esclusivamente per i propri
studenti,  garantendone  la  coerenza  tra  i  percorsi  formativi  e
l'eventuale collocazione lavorativa».
    Appare  infatti  anche  qui  evidente  il  contrasto  tanto con i
livelli essenziali posti a tutela dei diritti sociali fondamentali di
cui  all'art. 4  della  Costituzione,  quanto  con le norme poste dal
richiamato   comma   1   dell'art. 6   del   n. 276/2003,   che,  nel
regolamentare   il   particolare  regime  autorizzatorio  concernente
l'attivita'  di  intermediazione  svolta  dalle universita', non pone
alcuna  limitazione  in  ordine  ai soggetti nell'interesse dei quali
l'attivita' viene svolta, non individuando, pertanto - come fa invece
la legge impugnata - i soli studenti.
    Anche  sotto  questo  profilo  la  norma  deve  essere dichiarata
costituzionalmente  illegittima per contrasto con l'art. 117, commi 2
e 3, della Costituzione.
    4.  - Non sembra sfuggire a censura anche il comma 3 dell'art. 13
della   Regione   Marche   n. 2/2005,   regolante,  le  modalita'  di
cooperazione tra servizi pubblici e soggetti operanti nell'ambito dei
«servizi al lavoro», che prescrive che «i soggetti pubblici e privati
accreditati o autorizzati allo svolgimento di servizi nel mercato del
lavoro  sono  tenuti  ad interconnettersi con il nodo regionale della
borsa  continua  nazionale  del  lavoro  e con il Sistema Informativo
regionale Marche lavoro (SIRMAL) di cui all'art. 15».
    Invero,  cosi' disponendo, la regione viola con piena evidenza il
disposto  dell'art.  15,  comma  2,  del piu' volte richiamato d.lgs.
n. 276/2003   (e   dei   successivi   regolamenti   attuativi),  che,
nell'enunciare  principi  generali sulla borsa continua nazionale del
lavoro  e  sul  monitoraggio statistico, certamente vincolanti per le
regioni   a   mente   del  disposto  dell'art. 117,  comma  3,  della
Costituzione,  prevede che «La borsa continua nazionale del lavoro e'
liberamente  accessibile  da  parte  dei lavoratori e delle imprese e
deve  essere  consultabile  da  un  qualunque  punto  della  rete.  I
lavoratori  e le imprese hanno facolta' di inserire nuove candidature
o  richieste  di  personale  direttamente e senza rivolgersi ad alcun
intermediario  da  qualunque  punto  di  rete  attraverso gli accessi
appositamente  dedicati  da  tutti  i  soggetti  pubblici  e privati,
autorizzati   o   accreditati»   L'imposizione  della  necessita'  di
interconnessione   con   il   nodo   regionale   appare   del   tutto
ingiustificata   e   comunque   costituzionalmente   illegittima  per
violazione dei principi fondamentali posti sul punto dalla normazione
statale.
    5.  -  Ugualmente  viziato  e'  l'art. 17,  comma  4, della legge
Regione  Marche  n. 2/2005,  che,  regolando  i profili formativi dei
contratti  di  apprendistato, statuisce che «la formazione teorica da
espletarsi nel corso dell'apprendistato deve essere svolta secondo le
modalita'  previste  dalla  contrattazione e comunque, in prevalenza,
esternamente all'azienda».
    Va  premesso  che  i  profili formativi di cui si tratta appaiono
legati,  piu'  e  prima  che  alla materia del lavoro: a quella della
istruzione, nella quale, a mente del disposto dell'art. 117, comma 2,
lettera  n),  esiste  una competenza esclusiva dello Stato ad emanare
norme generali; a quella dell'ordinamento civile (lett. l), regolando
caratteristiche del contratto di lavoro e della qualifica lavorativa.
Di  tal  che,  la  disposizione dell'articolo che qui si impugna pare
incidere  -  nel  porre  principi di carattere generale -, in materia
rientrante nella legislazione esclusiva dello Stato.
    L'art. 17  e'  inoltre  e  comunque  illegittimo,  nel  suo comma
quarto, poiche' contrasta con l'art. 49, comma 4, lett. a) del d.lgs.
n. 276/2003  -  dettante quanto meno principi fondamentali in materia
di  legislazione  concorrente,  come tali vincolanti per la regione -
che  prevede che la possibilita' di acquisire al termine del rapporto
di  lavoro  una  qualifica  «sulla  base degli esiti della formazione
aziendale  od  extra-aziendale»,  senza  porre  alcuna  limitazione e
prescrizione  quanto  alle modalita' con le quali la formazione viene
svolta dall'apprendista.
    Anche     l'art. 17    dovra'    pertanto    essere    dichiarato
costituzionalmente illegittimo in parte qua.
    6.  -  Non  si  sottrae,  da  ultimo,  a  censura, sotto svariati
profili,  l'art. 20  della legge Regione Marche n. 2/2005. Per quanto
di  interesse,  cosi'  dispongono  le norme censurate: «... 2) Per la
realizzazione delle finalita' di cui al comma 1, la giunta regionale,
sentite    le    organizzazioni   sindacali   comparativamente   piu'
rappresentative,  individua  annualmente, tenuto conto dell'andamento
del  mercato del lavoro e delle condizioni economiche e sociali della
regione,  le  categorie dei soggetti svantaggiati destinatarie in via
prioritaria, unitamente alla categoria dei disabili, degli interventi
regionali finalizzati all'inserimento ed al reinserimento lavorativo.
3)   I   soggetti   autorizzati   che   intendano  operare  ai  sensi
dell'articolo  13  del d.lgs. n. 276/2003 sono tenuti a rispettare le
seguenti condizioni: a) ottenimento dell'accreditamento dalla regione
ai  sensi  della presente legge; b) stipula di una convenzione con le
province,  previo  parere favorevole della regione sul rispetto delle
prescrizioni  di  cui  al  comma 4, lettera a); c) integrale rispetto
degli   accordi   e   contratti  collettivi  nazionali,  regionali  e
territoriali  o  aziendali,  laddove  sottoscritti,  stipulati  dalle
organizzazioni  sindacali  dei  datori  di  lavoro  e  dei lavoratori
comparativamente   piu'  rappresentative.  4)  La  giunta  regionale,
sentite  le  province  e le organizzazioni dei datori di lavoro e dei
lavoratori comparativamente piu' rappresentative sul piano regionale,
individua   annualmente:   a)   gli  standard  minimi  dei  piani  di
inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro e degli interventi
formativi che devono essere erogati; b) i requisiti professionali dei
tutori  aziendali;  c) le procedure per la verifica della conformita'
alle  prescrizioni  regionali  delle  convenzioni  stipulate;  d)  le
categorie  che,  tenuto  conto dell'andamento del mercato del lavoro,
possono  essere assunte con le modalita' ed alle condizioni di cui al
presente   articolo;   e)   le   cause  che  legittimano  il  rifiuto
dell'offerta  lavorativa da parte del soggetto svantaggiato senza che
lo stesso incorra nella decadenza di indennita' o diritti».
    6.1. - L'art. 20, comma 2, nella parte in cui demanda alla giunta
regionale    la   individuazione   delle   categorie   dei   soggetti
svantaggiati,  incide  nella  competenza  esclusiva  dello  Stato  in
materia  di  ordinamento  civile  (art. 117,  comma  2, lett.l, della
Costituzione), ed e' pertanto illegittimo.
    A  tale  conclusione deve ugualmente giungersi (per contrasto con
il  successivo  comma  3  della  richiamata  disposizione della Carta
fondamentale  e dei principi posti dalla legislazione statale) ove si
abbia  riguardo  al  disposto  dell'art.  2,  comma 1, lettera k) del
d.lgs.  n. 276/2003,  che  con  disposizione  a  carattere certamente
generale  e  sulla  base della normativa comunitaria, individua quale
«lavoratore  svantaggiato»:  qualsiasi  persona  appartenente  a  una
categoria  che  abbia  difficolta'  a  entrare, senza assistenza, nel
mercato  del lavoro ai sensi dell'art. 2, lettera f), del regolamento
(CE)  n. 2204/2002  del  12  dicembre 2002 della Commissione relativo
alla  applicazione  degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti
di  Stato  a  favore della occupazione, nonche' ai sensi dell'art. 4,
comma  1, della legge 8 novembre 1991, n. 381». Non appare certamente
consentito  alla  normativa regionale di individuare una categoria di
soggetti deboli ristretta a livello unicamente locale.
    6.2.  - Illegittimo appare anche il comma 3 del medesimo art. 20,
che  impone  ai  soggetti  autorizzati  il  rispetto  di una serie di
prescrizioni  (fra l'altro, accreditamento regionale e rispetto della
contrattazione  collettiva)  in  contrasto  con  l'art. 13,  comma 1,
lettera  a),  del  d.lgs.  n. 276/2003,  che,  al  fine  di garantire
l'inserimento    o   reinserimento   dei   lavoratori   svantaggiati,
espressamente consente (con norma di indirizzo) di «operare in deroga
al regime generale della somministrazione di lavoro».
    6.  - Da ultimo, va eccepita la illegittimita' costituzionale del
comma 4 dell'art. 20, che incide anch'esso nella competenza esclusiva
dello  Stato  di  cui alla lettera l) del comma 2 dell'art. 117 della
Costituzione  laddove  consente  alla Regione di individuare le cause
che  legittimano  il  rifiuto  dell'offerta  lavorativa  da parte del
lavoratore svantaggiato.
    Conclusivamente,  i  commi  2,  3  e  4  dell'art. 20 della legge
n. 2/2005   della   Regione   Marche   dovranno   essere   dichiarati
costituzionalmente  illegittimi  e  pertanto  annullati  in  partibus
quibus.